Stracapirse

ovvero Tu, che mm’ha ’mparato a ddì

Tra i problemi del neocostituito stato italiano, vi fu (e in piccola parte permane) quella disomogeneità linguistica che si manifestò anche un secolo fa, nell’Alto Adriatico, alla fine della Grande guerra.

A Trieste e dintorni, oltre allo sloveno e al tedesco, circolava un dialetto diverso dall’italiano standard. Basicamente veneziano ma infarcito di termini provenienti da altri idiomi, era il frutto della funzione marittima della città. Il problema non stava solo nelle parole incomprensibili, ma anche nei trabocchetti costituiti dai «false friend», vocaboli simili ma dal significato affatto diverso.

Il notissimo verbo pomigar, ad esempio, avrebbe il suo corrispettivo fonetico ma non semantico nell’italiano pomiciare. Struccarsi, ancora oggi, qui vale stringersi, abbracciarsi, e nel resto d’Italia, invece, ripulirsi il viso dal make up, mentre l’avverbio volentieri continua a generare inutili attese e delusioni tra i visitatori ignari. Non voglio che mi copi, invece, può evocare una paura che va oltre il timore di un’imitazione, anche perché i cortei, invece che sfilare, possono rivelarsi micidiali armi bianche.

La pochade “Stracapirse”, ambientata nella Trieste appena annessa all’Italia, racconta la storia d’amore tra Jole, una “ragazza di Trieste”, e Gennaro, un ufficialetto napoletano della Sanità.

Lui, figlio di un luminare della medicina partenopea, e lei, vispa ragazza di Cittavecchia, si incontrano, si piacciono, ma si comprendono sino a un certo punto. Cercano inutilmente, di “assestare” nel proprio contesto espressivo, termini che paiono familiari, ma generano insensatezza.

La successione di gag ed equivoci dei quali entrambi sono preda, è decorata da un mélange di musiche e canzoni popolari, triestine e napoletane.

Glossarietto

Il glossarietto qui a seguire è stato pensato per i “foresti”, ma potrà essere utile anche – ahimè - a non pochi triestini giovani o di mezza età, per i quali talune locuzioni risulteranno nuove e incomprensibili.

Ai “false friend”, fonte di equivoci tra l’italiano e il vernacolo, andrebbero aggiunte anche altre parole: Làntuer (Landweher, milizia territoriale), Nema zvanziga (mix tedesco-sloveno, niente soldi) e la canzonetta di Ariella (vater schuster, padre calzolaio, che macht Shuhe, faceva scarpe... e mi fazo le mie).

Al bagno a fare una nuotata
Andare insieme avere un mancamento, svenire
Bieco toppa
Biga formato di pane
Bonagrazia asta di sostegno delle tende da finestra o porta
Buona. capace, in grado di (non sono buona)
Capoto de legno cassa da morto
Cercare assaggiare.
Cisto pulito, senza soldi (slov.) cistite=povertà
Conto: nell’accezione doppia, enumerare e narrare
Darghela morire
Fio figlio
Frugata lisa, consumata
Garba acida
Giogo gioco
Gnocca austriaca, o tedesca
Incarigarse ubriacarsi
Intrigar ingombrare, ostacolare, stare tra i piedi
La tazza (lei) tormenta insistendo
Losca strabica
Me picchi mi penda
Me sento: nell’accezione doppia, sentirsi in grado e sedersi
Moroso fidanzato
Negarsi annegarsi
Ordinario scadente
Passione compassione
Pena appena
Piàdina: terrina, insalatiera
Pila soldi
Pulito messo bene, in forma
Rata bastonatura
Riva salita
Sburta radicio è sottoterra
Sconto nascosto
Sincera non ubriaca
Smarrita scolorita, sbiadita
Stagno solido, concreto, importante
Stanca Stanislava (accezione slov.)
Strucar spremere, abbracciare strettamente
Struzza formato di pane